Lia Drei (1922-2005) e Francesco Guerrieri (1931-2015) sono stati i protagonisti di un sodalizio artistico e sentimentale durato quasi cinquant’anni. La coppia, nota per una sperimentazione congiunta tra le più riuscite in Italia, si propose di indagare le strutture della percezione e della forma creando un universo iconico dalle sfaccettature variopinte nell’ambito dell’Arte Programmata di tipo gestaltico. Nella loro casa romana, base operativa del loro impegno artistico e meta di una processione di critici e studiosi tra i quali Giulio Carlo Argan, Sandra Orienti, Corrado Maltese, Filiberto Menna, Teodolinda Coltellaro, Gabriele Simongini, Luciano Marziano e Luigi Paolo Finizio, i due artisti, ognuno per conto suo ma in qualche modo all’unisono, diedero vita a un binomio artistico di una effervescente prolificità.
A un lustro dalla scomparsa di Francesco Guerrieri e tre di quella di Lia Drei, Geometricae ha intervistato Concetta Guerrieri, avvocato e collezionista, nipote e figlia putativa della celebre coppia, nonché proprietaria e responsabile del patrimonio e dell’archivio dei due artisti.
Intervista di Gianfranco Spada.
Quale è stata la sua relazione con la celebre coppia?
Sono stata scelta, inizialmente, da Lia come figlia putativa (la quale conservava gelosamente delle mie foto da bambina, che probabilmente le dava il suocero) poi da Francesco, “l’enfant prodige” che non voleva crescere, “voleva solo invecchiare con talento rimanendo giovane”. Il nostro rapporto è stato di amore filiale e di grande amicizia. Non hanno avuto la fortuna di avere figli, entrambi. Lia quando mi conobbe, si legò tantissimo a me ed io a lei. Quando ci conoscemmo la prima volta, ricordo che ero molto emozionata, una sensazione bellissima, nel mentre si avvicinava a salutarmi, la sentii viaggiare dentro di me con uno sguardo molto penetrante ed intenso, quasi ipnotico, e poi esclamò sorridendo: “però, sei anche una ragazza alla moda, mi piaci”, e mi abbracciò con tanto calore! Cominciai a frequentare con molta riservatezza il loro studio di Roma. Mi hanno formata, indottrinata, mi hanno introdotta negli ambienti artistici e culturali romani e non. Hanno, diciamo, approfondito le mie naturali vocazioni e la mia cultura in materia. Francesco e Lia mi presentavano, non solo come loro nipote, ma il più delle volte come figlia, con molto orgoglio. Ed io ne ero molto felice. Li ho seguiti, anche nella malattia e fino alla morte di entrambi con tanta devozione e amore. Lia è morta in una clinica romana nel 2005. Francesco è morto tra le mie braccia, a Soverato (Catanzaro) dopo una velocissima e brutta malattia nel 2015. Li ho amati tantissimo. Erano due persone meravigliose e molto stimolanti, sotto tantissimi punti di vista. Persone molto colte, intellettualmente fini e dall’animo buono e sensibile, sagge e leggere al tempo stesso! Mi mancano tantissimo, soprattutto le nostre lunghissime chiacchierate, i nostri scambi culturali e dialettici.
Quali sono i suoi primi ricordi legati ai suoi zii?
In verità Francesco è il figlio del fratello di mio nonno paterno, zio Salvatore. I miei primi ricordi risalgono all’infanzia, ero molto affascinata dalle loro vite, non solo artistiche. Loro vivevano nel più stretto riserbo e non frequentavano parenti, solo pochi amici. Me ne parlava mio zio Salvatore (uno zio molto caro per me ed anche mio padre) ed anche zia Lucia quando scendevano in Calabria. Quando venni catapultata nelle loro vite (segnate da vicissitudini personali anche molto dolorose, fatte da tragedie, morti e brutte esperienze personali) sono entrata in una meravigliosa ed inaspettata favola in cui il soggetto principale è stato l’amore universale e cosmico: una direzione infinita di bellezza.
Di Lia è noto che era figlia del celebre scultore Ercole Drei che viveva con la sua famiglia nella romana Villa Strohl-Fern attigua a Villa Borghese invece di suo zio Francesco Guerrieri e della sua famiglia non si hanno molte notizie. A quanto pare era nato in un paesino della Calabria e poi trasferitosi a Roma con la famiglia all’età di otto anni. Cosa ci può raccontare a riguardo?
Francesco è nato a Borgia in provincia di Catanzaro il 26 settembre del 1931. Era molto legato al suo paese natio. Quando Francesco aveva 8 anni, il padre venne assunto come funzionario all’E.N.P.A.S di Roma dove si trasferì insieme alla sua famiglia, padre e madre, nel lontano 1939. Francesco ricordava questo momento come un grande cambiamento e un grande senso di smarrimento.
Era un bambino felice nella sua terra accanto ai suoi parenti. Una famiglia patriarcale, d’altri tempi. Per lui fu un trauma staccarsi dal suo paese natio e dalla luce abbagliante del sole e dai colori del suo mare. Mi raccontava che, addirittura, si ricordava di quando, piccolino, vide, per la prima volta, il mare ed il sole rosso sorgere all’alba, dopo aver viaggiato in braccio a sua madre, durante la notte, su un carro trainato dai buoi fino alla Roccelletta di Borgia, il quartiere marinaro del paese. Quando giunse a Roma, nel 1939, era il periodo in cui l’Italia si preparava alle leggi razziali. Arrivati a Roma, furono ospiti inizialmente di una famiglia originaria di Borgia (la famiglia La Piana ) nei pressi di Via Giulio Cesare, poi andarono a vivere, se non ricordo male, nei pressi di Viale delle Milizie, Quartiere della Vittoria, nella famiglia di parenti ebrei Pinnarò e, verso la metà degli anni ’60, si trasferirono nel quartiere Trionfale.
Fu difficile, inizialmente, per Francesco adattarsi alla Capitale, risentiva infatti, della mancanza del suo paese, soprattutto di suo nonno Francesco (molto orgoglioso del nipote, con il quale avrà una bellissima ed intensa corrispondenza epistolare fino alla morte dello stesso), del suo Mare Jonio e di una sua zia, Teresa (“La pistolera indomita”, la chiamava simpaticamente, perché smanettava i fucili con molta abilità per fronteggiare i briganti e poi i tedeschi Mi pare vivesse nelle campagne di Rosarno in provincia i Reggio Calabria ed era sorella di sua madre, zia Lucia). Ritornerà a trovarli nel dopoguerra.
Nella nuova scuola romana veniva preso in giro perché all’inizio parlava solo il “dialetto calabrese”: era l’unica lingua che conosceva e nella classe viveva molto isolato per questo motivo, perché non veniva capito; fino a quando non venne celebrato come il primo della scuola (fu in verità sempre il primo della classe, al Liceo ed anche all’Università). Un ragazzo veramente brillante, che divenne un profondo conoscitore della lingua italiana, della comunicazione verbale e non verbale, molto appassionato di poesia, di metrica, di letteratura, filosofia, storia, di medicina, psicologia, musica e soprattutto di Pittura. Una mente sagace, raffinatissima, poliedrica, affascinante. Indimenticabile, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo. Era fantastico quando ironizzava sul significato etimologico delle parole dialettali ed italiane facendoci ridere di gusto. Inoltre, mi riempiva di tante curiosità.
A Roma, visse in pieno la seconda guerra mondiale, patì la fame e la disperazione, come tutti in quel periodo, e mi raccontò anche di tante storie terribili legate alla cattura, alla deportazione degli ebrei, e a cosa essi escogitavano per nascondersi dalla cattura dei tedeschi; racconti ormai affidati alla storia. La famiglia di mio zio, ha rischiato di essere arrestata, perché in casa avevano nascosto una famiglia ebrea insieme ai nostri parenti ebrei Pinnarò ( parenti da parte della mia bisnonna paterna). Mi raccontò anche che una mattina mentre andava a scuola a piedi, si trovò improvvisamente nel pieno di un bombardamento (non suonarono le sirene in anticipo) ed in seguito al fragore di una bomba venne scaraventato a terra, ma rimase miracolosamente illeso. Visse con entusiasmo la liberazione di Roma ed assistette da vicino all’arrivo trionfante dei mezzi corazzati americani che sfilavano accanto al Colosseo. Tanti bellissimi racconti anche legati agli anni del dopoguerra e alla “Dolce vita Romana”: l’età dell’oro.
Dopo il Liceo Classico Mamiani, frequentò brillantemente anche la facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza in Roma. In questo periodo fece parte della Goliardia romana, riservata ad un ristrettissimo ed elitario numero di fortunati (molto colti): i goliardi/studenti erano, allora, una piccola minoranza. Lo spirito goliardico e la suadente e sottile ironia lo accompagneranno tutta la vita.
Fu anche un attivista comunista nel movimento studentesco in quegli anni, in qualità di rappresentante degli studenti, tra i più acclamati e votati. So, anche, di molti aneddoti legati a questo particolare momento storico politico. Tra le sue diatribe, mi raccontava quelle con Giuseppe Ciarrapico, suo antagonista politico.
All’Università strinse amicizie e conoscenze con persone che diventeranno nomi importanti quali scrittori (per esempio Umberto Eco), giornalisti, intellettuali, poeti e artisti, che già aveva conosciuto al Mamiani, tra i quali Mario Pirani Coen, ed Eugenio Scalfari, cofondatore il primo, del quotidiano La Repubblica, insieme a Scalfari , anche lui figlio di genitori calabresi, anche lui allievo del Mamiani e della facoltà di Giurisprudenza. Per mantenersi agli studi, nel dopoguerra, faceva la “claque” nei Teatri Romani e Cinema-teatro (Teatro Eliseo, Brancaccio, Teatro del Popolo, Sistina), amava scrivere romanzi d’amore, sceneggiature e tantissime poesie e non solo, amava anche tradurre i classici latini e greci. Possedeva una conoscenza ed una padronanza impressionante delle lingue morte classiche, della semiologia e della semantica della lingua italiana, latina e greca. Giovanissimo vinse un concorso come cancelliere nel Tribunale di Pavia. Subito dopo ne vinse un altro come Dirigente Superiore alla Corte di Cassazione. Diresse, infatti, il C.E.D. per più di vent’anni (il Centro Elettronico di Documentazione della Corte Suprema di Cassazione) e negli anni 50, insieme ad alcuni suoi collaboratori, inventò il modo per trasmettere con il telegrafo le Massime giuridiche dalla Cassazione al Tribunale di Piazzale Clodio in Roma. Nello stesso periodo vinse anche brillantemente il concorso in Magistratura. Insomma, raggiunse tanti meritati successi, uno dietro l’altro. Coltivò inizialmente come hobby la pittura. Nel 1956 frequenta anche l’Accademia dell’Associazione artistica Internazionale in Roma e nel 1958 l’Accademia di Francia dopo aver superato delle prove di ingresso.
Qui conosce Lia Drei ed entrambi rimangono folgorati l’uno dell’altro innamorandosi perdutamente. Lei era una bellissima e colta donna. Nel luglio del 1958 si sposarono a Roma nella Basilica di Santa Maria del Popolo (testimone di nozze fu Marina Apollonio) e poi andarono a vivere ed operare, per qualche anno, a Villa Strohl–Fern, in quel parco allora abitato da importanti artisti. Nel 1973, Carlo Giulio Argan suo amico (storico dell’arte e sindaco di Roma nel 1976) lo convince a lasciarsi alle spalle il suo mondo giuridico ed una importante solidità economica per dedicarsi completamente all’arte: divenne “un giovane pensionato”. Visse con questa pensione per tutta la vita. Di questa sua parte della vita non ne vorrà più parlare per riservatezza e per rispetto del suo grande amore: l’Arte, intesa come manifestazione universale, essenza cosmica espressa nel linguaggio concettuale e programmato, sintesi sostanziale di tutto quello del quale si era appassionato in gioventù. Quando io gli domandavo, scherzando, perché non volesse che si sapesse del suo prestigioso passato, lui che è stato anche un grande giurista, mi rispondeva che non aveva “nessuna importanza storica” e che voleva essere ricordato come l’Artista per antonomasia.
Che tipo di educazione famigliare ricevette suo zio?
Molto disciplinata e rigorosa. Francesco è stato molto seguito dai suoi genitori in quasi tutte le scelte compiute in gioventù. Il padre scherzando gli diceva spesso: “studia, perché altrimenti corri il rischio di diventare Pubblico Ministero!” I genitori avevano grandi aspettative nei confronti di questo unico figlio. Un figlio modello, molto bene educato e tanto intelligente. Mio zio Salvatore era molto ambizioso, ed insieme a mia zia Lucia, non videro di buon occhio il fatto che Francesco decise di mollare la sua brillante carriera giuridica per l’arte e per una donna più grande di lui di nove anni, figlia di un grande scultore/pittore. Avrebbero preferito una vita più borghese per lui, con nipoti al seguito. Francesco, li ha accontentati in tutto i suoi genitori e li ha amati e seguiti sino alla fine con devozione, però, nel tempo stesso, si ribellò a questo modus vivendi (anche spronato da Lia una donna molto emancipata per quell’epoca e da Carlo Giulio Argan suo amico ed estimatore) molto provinciale che imponeva di vivere una vita schematica e tradizionalista. Francesco ribellandosi visse poi la vita che sognava di vivere: libera da condizionamenti, ma anche completamente lontana da ogni forma di ingerenza familiare, così come imposta dall’epoca, e questo con grande dispiacere per i miei zii.
Una vita all’insegna dell’arte, di ricerca sperimentale di nuove modalità espressive; una vita d’artista lontana da pregiudizi e da regole rigide, fatta anche di molti viaggi, avventure. Infatti, tanto per portare un esempio, insieme a Lia ed un autostoppista hippy nel 1958 decisero di partire prima per la Spagna e poi per la Francia per visitare prima le grotte preistoriche di Altamira e poi di Lascaux, per ricercare l’origine del linguaggio pittorico e vissero là dentro per più di un mese (allora si poteva fare, ormai sono divenute patrimonio dell’Unesco e non sono più visitabili, questa sua esperienza segnerà una parte della pittura quella attinente alle opere polimateriche). Vissero, inoltre, una vita bucolica nelle campagne romagnole sulla linea Gotica.
Com’era la sua personalità?
Francesco era un uomo molto sensibile e generoso, una persona molto saggia ed equilibrata, molto riservato, intelligente, intuitivo, lungimirante, molto riflessivo, lineare, coerente, onesto anche intellettualmente, disciplinato e rigoroso, diffidente e un po’ permaloso, un attento ascoltatore, una mente aperta come un paracadute, molto ironico, una persona molto fine, gentile e signorile, un signore d’altri tempi.
Lia invece era cresciuta in un ambiente artistico di spicco, cosa ci può raccontare, come fu la sua educazione?
Lia era una persona libera, molto empatica e con una grande spiritualità. Crebbe in una famiglia di alta borghesia, disciplinata e rigorosa ed anche molto colta. Il padre, artista molto noto all’epoca, era molto impegnato sia per il suo lavoro creativo ma anche come docente, mentre la madre, la bellissima e dolcissima Margherita Montanari, e la tata accudivano le tre figlie. Natalia, detta Lia, era una bambina vivace e ribelle ed amante della natura. Abbracciava e parlava sin da bambina le querce secolari, che le confidavano messaggi subliminali, e dormiva in fosse piene di foglie. Questo atteggiamento le rimase tutta la vita. Si arrampicava spesso sugli alberi ed amava esibirsi in tuffi acrobatici. Non a caso divenne campionessa nazionale di tuffi nel 1948. La vita di Lia è stata segnata da alcune tragedie, qualcuna anche personale. Perse la giovane madre (32 anni) all’età di 11 anni, e poi perse anche una sorellina per meningite. Risentirà moltissimo di queste gravissime perdite. Soprattutto, dalla perdita della sua adorata mamma, una sottile inquietudine segnerà tutta la sua vita. Il rapporto con il padre fu piuttosto contrastante e per alcuni versi burrascoso: troppo preso dal suo lavoro e troppo poco attento alle emozioni della figlia. In verità Ercole Drei si buttò a capofitto nella creatività e nel lavoro in seguito la perdita della giovane moglie e della sua bambina. Soffrì disperatamente e decise anche di non avere più relazioni importanti ed un’altra moglie per accudire le due figlie ancora in tenera età. Lia prima studiò al Liceo Classico Tasso di Roma, dove fu compagna di classe di Vittorio Gassman (ebbero un flirt in quel periodo) e poi partì per gli Stati Uniti D’America in nave, vivendo un lungo periodo della sua vita a New York (1944-1956) dove si laureò brillantemente e poi insegnò alla Columbia University.
Viaggiò spesso in Canada, dove si allenava nel suo preferito LAC ECHO in Quebec. Nel 1948 conquista il titolo di campionessa nazionale italiana di tuffi acrobatici, conosciuta anche all’estero per il suo bellissimo volo ad angelo. Questa performance le permetteva di anelare al cielo e in esso sognare di poter sfiorare le ali della sua mamma. Suo padre andò a riprendersela a New York con la forza nel 1956 e, nel parapiglia, dimenticò anche i bagagli al porto di New York prima di imbarcarsi.
Si può intravedere nelle loro rispettive educazioni famigliari, nella relazione con i propri genitori, un qualche indizio che spieghi il loro interesse verso una creazione artistica programmata di tipo gestaltica?
Credo di sì. Anche se famiglie all’antica, erano molto stimolanti. Cosi come stimolante è stato l’ambiente d’infanzia nel quale hanno vissuto. La psicologia della forma è stata per loro, credo, anche un anelito verso la libertà di comunicazione e di pensiero. Francesco e Lia davano molta importanza alla comunicazione, e alla percezione, nonché agli stimoli ambientali: li traducevano in concetti sviluppandoli in pittura. “La totalità non può prescindere dalle singole parti”, diceva Francesco. Credo sia questo il principio fondamentale della Gestalt. Loro consideravano la pittura come un’evoluzione del linguaggio in tutte le sue forme e nelle singole parti che costituiscono la forma nella sua totalità. Il vedere oltre, andare oltre: questo è stato il loro leitmotiv. Il percorso artistico di Francesco nasce dall’abbandono del figurativo e dal superamento dell’informale.
Quanto a Lia, Ercole Drei non vide proprio di buon occhio il fatto che la figlia seguisse Francesco in questa modalità evolutiva del linguaggio pittorico staccandosi dall’informale e che usasse i colori accesi e non le tonalità grigie, nere e marroni: lo riteneva uno sfrontato della pittura. Gli artisti dell’epoca avevano, come ben sa, molti pregiudizi al riguardo. Tant’è che questo è stato anche motivo di forti contrasti con il padre, che non vedeva bene la ricerca pittorica di Francesco: c’erano troppi pregiudizi legati a questa tendenza sperimentale allora. Quanto a Francesco, viene da una famiglia il cui il gene dell’arte è in re ipsa. Ci sono stati e ci sono altri artisti nella nostra famiglia: bravi, anche se non storicizzati come Francesco. La risposta gestaltica è stata per Francesco e Lia una conseguenza del loro modo di vedere e interpretare la vita, le cose, gli accadimenti. Amavano comunicare attraverso la pittura. Francesco diceva sempre che la sua aspirazione profonda era quella di comunicare attraverso la pittura ciò che con il linguaggio ordinario non era possibile comunicare. Francesco è stato un insigne interprete delle ricerche gestaltiche.
La differenza di età tra loro (Lia Drei aveva nove anni in più di suo marito) non fu impedimento per il loro lungo sodalizio, come si conobbero?
Si conobbero all’Accademia di Francia nel 1956. Lia era anche una delle modelle. Quando la vide arrivare da quella discesa fu amore a prima vista. Lia non dimostrava affatto di essere nove anni più grande.
Come era la lora relazione artistica nel quotidiano? Come si influivano tra di loro?
Bella domanda! La loro relazione artistica era fatta di confronti e di scontri, di importanti discussioni di arte. Frequenti erano le litigate. Lia stimava molto la pittura di Francesco. Al tempo stesso gli stava dietro e rispondeva concettualmente sulla tela al linguaggio innovativo di Francesco, proponendo le personali soluzioni linguistiche. Concettualizzavano anche il loro vissuto ed il loro modus pensandi, scegliendo temi importanti, alcuni personali.
Come era la loro giornata tipica e che parte di questa era dedicata alla creazione artistica?
La loro giornata iniziava la mattina, prima con la ginnastica e con gli audio di musica classica e poi dedicandosi interamente all’arte tutto il giorno. La loro casa, era principalmente una casa studio: loro erano artisti a tutto tondo poichè amavano scrivere e leggere, Lia era anche una brava compositrice, amava suonare la chitarra e cantare ed anche scrivere poesie; amava anche cucire i vestiti.
Avevano studi separati o lavoravano nello stesso studio?
Avevano studi, rigorosamente separati.
Cosa le raccontavano sui lavori artistici che erano in procinto di realizzare? La facevano partecipe dello loro inquitudini e delle loro ricerche?
In verità si commentava il concetto trasfuso nell’opera, il ritmo della struttura e la poesia visiva. Francesco mi ha reso partecipe delle sue inquietudini in maniera silente e delle sue ricerche in maniera coinvolgente e, negli ultimi anni, dopo la morte di Lia, gli piaceva confrontarsi con me: percepiva da sempre il mio amore e la sensibilità per l’arte. Era diventato nell’ultimo decennio meno rigoroso nella pittura, quanto all’uso del colore riprese a dipingere con i colori vivaci iniziali e non più con il rosso ed il nero.
Durante gli anni sessanta sono stati una coppia artistica molto attiva nel panorama romano. Cosa le raccontavano di quel periodo?
Di quel periodo conosco tanti aneddoti, alcuni molto personali, di grandi artisti e direttori di gallerie, come, per esempio, Palma Bucarelli. Era un periodo di grande fermento e di crescita, in linea con quanto accadeva a livello internazionale. La loro casa era diventata il crocevia di artisti intellettuali, scrittori, critici e storici dell’arte. Si discuteva di temi importanti, culturali e artistici. Il loro salotto era frequentato da storici e artisti quali: Argan, Achille Bonito Oliva, Filiberto Menna, Finizio, Mirella Bentivoglio, Sergio Pucci, Bice Lazzari, Carlo Lorenzetti, Luciano Marziano, Germano Celant ecc.. Con loro discutevano di temi importanti ed attuali, di elaborazioni creative e di linguaggio pittorico. Si riunivano anche a Spazio Alternativo, difronte la Barcaccia a Piazza di Spagna e a Piazza del Popolo. In quel periodo si incontravano insieme ad altri artisti, storici, critici, ad esempio con Guttuso, Rotella, e tanti altri. I suoi racconti erano tangibili, tanto era chiara e non retorica la sua esposizione che aveva una precisione descrittiva sorprendente in grado di catapultarmi in quell’ esatto momento storico richiamato: me lo faceva vivere! Un racconto interessante è legato alla costituzione del Gruppo 63 ideato da Francesco, cui seguì una mostra che ebbe una grande risonanza. Piacque cosi tanto questa idea del gruppo che Giulia Niccolai, sua amica, e Umberto Eco che conosceva bene, decisero di chiamare allo stesso modo il movimento letterario sorto a Palermo nell’ottobre dello stesso anno e chiesero, quindi, a Francesco il permesso di utilizzo del nome.
Che lei sappia erano in contatto con esponenti d’oltralpe di movimenti artistici affini?
Sicuramente conoscevano le ricerche similari che si andavano sviluppando in altri Paesi europei, ma non ebbero contatti con esponenti dei gruppi nati oltralpe.
In un’intervista suo zio menzionava il fatto che si dovevano fare altri lavori per poter vivere come artista, di che lavori si trattava?
Sì, loro avevano due vite. Francesco ha lavorato nel mondo giuridico, come già le ho accennato, pensionandosi giovanissimo. Lia insegnava in una scuola media nel quartiere Trionfale.
Ad un certo punto la coppia decide di abbandonare la vita artistica romana si trasferisce a vivere in campagna. A cosa si deve questa scelta?
Sì vero, verso la fine degli anni 70. Una volta, durante una crisi esistenziale, Lia decise di partire e di tornarsene in Romagna subito dopo la morte del padre (1973). Rimase un bel pò di tempo. Qui in bicicletta cominciò a girare per le campagne romagnole. Scoprì un bellissimo casolare, sulla linea gotica dell’appenino romagnolo, e decise di ristrutturarlo. Un fondamentale motivo che spinse però Lia ad abbandonare la vita artistica romana è stato che il mercato dell’arte si orientava verso scelte diverse, lontane dal loro modo di intendere l’arte come continua ricerca e sperimentazione, scelte fondamentalmente generate da fini speculativi. Lei non accettò mai questo stato di cose. Questa decisione fu molta azzardata e coraggiosa al tempo stesso e ne pregiudicò la presenza nel mercato dell’arte e nelle aste, nei quali, fin allora, erano molto attivi essendo stati molto apprezzati da storici, critici e collezionisti dell’epoca. Vendettero, infatti, negli anni 70, molte opere nella storica “Galleria Fumagalli” di Bergamo: al nord il mercato era più aperto all’arte programmata e concettuale. Negli anni a venire preferirono entrambi vivere l’arte in maniera riservata e pura. Francesco visse, in quel periodo, per le sue scelte pittoriche, un momento di profonda delusione artistica. Di comune accordo, si trasferirono in questa casa rifugio in campagna verso la fine degli ani 70, per sei mesi l’anno; il resto dei mesi invernali lo vissero nella loro casa romana. In questo piccolo paradiso terrestre vissero molto felici ed in maniera bucolica coltivando i campi e dipingendo per circa vent’anni, fino a quando un brutto incendio doloso devastò tutto quello che avevano creato assecondando le leggi della natura: un meraviglioso bosco. Le fiamme raggiunsero anche il casolare. Questo brutto momento segnò fortemente Lia, non si riprese dallo choc, ci volle molto tempo prima di guarire da questa terribile esperienza.
Cosa le raccontavano i suoi zii sull’isolamento autoimposto nelle campagne romagnole?
Per loro non è mai stato un isolamento, ma una scelta di vita derivata anche dal loro amore per la natura . Diventò “isolamento” indiretto solo perché meno presenti sul mercato dell’arte di cui non condividevano le scelte mosse da intenti speculativi. Per loro vivere nella “casa di gesso” (così la chiamavano) di Monte Mauro in Romagna rendeva più intenso il loro sodalizio d’arte e di vita.
Che tipo di vita conducevano, com’era la loro quotidianità?
Coltivavano l’orto, il bosco ed i fiori, dipingevano, leggevano e ascoltavano musica classica, andavano a ballare il tango nelle balere e progettavano per il futuro.
Lì in campagna ricevevano visite di colleghi artisti?
Si ricevevano visite di artisti romagnoli e trascorrevano molto tempo con i contadini del villaggio divertendosi molto.
Gli ultimi anni di vita di sua zia Lia non devono essere stati molto facili. Prima l’incendio del bosco circostante la casa e poi la lunga malattia.
Sì. Cadde in depressione, ma il suo grande amore per Francesco la fece poi reagire. Nel 2004 si ammalerà e poi in seguito ad una rottura del femore si aggraverà e morirà nel 2005.
Come è continuato il percorso artistico di suo zio dopo la scomparsa della compagna con la quale aveva condiviso quasi cinquant’anni di vita e lavoro?
Francesco promise a Lia, prima di morire, che sarebbe tornato a far conoscere al pubblico le loro ricerche e sperimentazioni artistiche e a partecipare a mostre. In effetti, agli inizi del 2000 fu nuovamente riscoperto dal mondo dell’arte. E’ incredibile come in poco tempo, con grande spirito organizzativo, mise in piedi uno staff composto da due storiche dell’arte, un tecnico informatico, un tipografo, un’addetta alle pubbliche relazioni ed alla divulgazione e alla consulenza legale (IO). Cominciò a sviluppare due siti, per lui e per Lia, e ad organizzare l’Archivio, le newsletter e ripristinare migliaia di contatti, in Italia e all’estero. Non solo, Francesco creava anche la grafica dei suoi cataloghi e della pubblicità delle mostre sulle riviste di settore in maniera stupefacente e sbalorditiva, senza l’aiuto di nessuno. Negli ultimi vent’anni della sua vita, mise in moto una macchina straordinaria, impiegando tantissimo tempo, tanta energia e tanto denaro, per ritornare all’attenzione del mondo dell’arte che l’accolse con grande entusiasmo. Eravamo sempre in full immersion fino alla tarda sera.
Come sono stati gli ultimi anni di vita di suo zio? Era tornato a vivere in Calabria?
Anni molto intensi ed impegnativi. Non visse mai in Calabria, riuscivo a convincerlo a venire solo a Natale. Negli ultimi 15 anni, rimase a vivere a Roma nella sua splendida casa-studio. E’ morto in Calabria nel 2015, per suo espresso volere, ed è seppellito insieme a Lia (la quale rinunciò ad essere seppellita nel Mausoleo del padre Ercole Drei a Faenza) nel cimitero di Borgia, in un modesto loculo.
Lei attualmente è la responsabile del patrimonio storico e artistico lasciato dalla coppia Guerrieri-Drei, può spiegarci di che tipo di materiale è composto?
Già nella Guida degli Archivi d’Arte del 900 a Roma e nel Lazio, Palombi editore del 2009 ero stata segnalata da Francesco quale Referente e responsabile, insieme a lui, dell’Archivio di Lia Drei. Dal 2015 sono responsabile dell’intero patrimonio storico artistico del quale ne ero già proprietaria dal 2004. Il patrimonio di entrambi è composto da una vasta antologia divisa per periodi e comprendente tele, opere su carta e documentazione storica importante degli anni 50, 60, 70, documenti audio visivi e molto altro.
Come affronta la responsabilità di mantenere vivo il lascito artistico dei suoi zii?
Non è semplice, poichè non ricevo finanziamenti o sponsorizzazioni. E’ molto oneroso mantenere un archivio storico artistico con più di 70 anni di storia.
Quali sono i suoi obiettivi a medio termine? Ha qualche progetto a riguardo che sta sviluppando attualmente?
Il mio obiettivo è quello di ufficializzare al più presto l’Archivio . Esso già esiste formalmente. Ho in cantiere molte idee e progetti anche se, in tempo di Coronavirus, il mondo dell’arte si sta preparando a nuove modalità divulgative prospettando processi evolutivi sul fronte del web e del virtuale. A dirla alla Francesco: “O tempora, o mores”.