Pubblicato con autorizzazione FreeTopix Magazine
Anche l’Argentina, come altri paesi del centro-sud-America, si distingue per l’originalità della proposta artistica, che matura grazie al concorso di numerose personalità – anche di varia provenienza – riunite tutte in un grande processo di rinnovamento creativo
In un volume tradotto e pubblicato in Italia nel 1975, Jorge Romero procede a tracciare una profilatura storiografica dell’arte in Argentina ‘dopo’ il 1945, dopo, cioè, che – con la fine della seconda guerra mondiale – gli equilibri politici mondiali hanno ricevuto una rimodellazione radicale ed un indirizzo assolutamente impensabile fino ad un decennio prima.
Nel mondo delle arti figurative osserviamo come si stemperi il concetto stesso di ‘avanguardia’, che pure aveva avuto una sua precisa pregnanza di fenomeno dirompente negli anni di esordio del secolo ed era stato sottolineato, peraltro, da comportamenti non alieni da manifesta intemperanza sociale come quelli dettati, ad esempio, dalla esuberanza futurista e dadaista.
Ciò che ora occorre affermare è qualche altra cosa: che è avvenuta una svolta e che il mondo, dopo la bomba atomica, non sarà più come prima: magari non è migliore, evidentemente, ma certamente non più come prima.
Nel mondo delle arti figurative si propone la polemica tra ‘figurativi’ ed ‘astrattisti’, ma è un falso problema, giacché gli astrattisti sono artisti che, in realtà, andrebbero definiti ‘aniconici’ (visto che rifiutano di raffigurare la realtà fenomenica) mentre i ‘figurativi’ non scelgono, comunque, anch’essi, in fondo, di ripetere pedissequamente le forme del reale, stabilendo di fornire di esso una interpretazione spesso molto elastica e presieduta da un intento, piuttosto ideologico che non meramente estetico, come, infatti, provvedono a fare i Neorealisti.
In Argentina, come ben spiega Romero, la tradizione locale non garantiva alcuna autonomia di ricerca, che appariva appiattita e schiacciata – e qui l’autore è forse anche un po’ ingeneroso – sull’esemplarismo europeo; ed è allora molto interessante osservare come proprio in questo milieu apparentemente attardato si manifestino i segni di una vivacità intuitiva apparentemente inspiegabile.
È in tale contesto argentino, infatti, che, a similitudine di quanto avveniva in Uruguay, si profilano alcune opportunità di effettivo e validissimo rinnovamento produttivo, che si imperniano intorno ad una prospettiva di notevole originalità della concezione astrattiva.
Tutto parte, apparentemente dall’Europa, dove, negli anni ’30, era stata promossa la grande prospettiva, che noi definiamo ‘ecumenica’, di ‘Abstraction-Création’, animata da Vantongerloo, dopo la morte di Theo van Doesburg, ed in concomitanza (più o meno) della partenza (nel ’34, in realtà) di Torres Garcia per Montevideo.
Abstraction-Création aveva avviato in grande stile l’esperienza ‘concretista’ consistente nel produrre un oggetto artistico non esistente nel mondo dell’esperienza conoscitiva comune e tale da poter essere considerato come frutto esclusivo del ripensamento soggettivo.
L’intuizione geniale della prospettiva ‘concretista’ spetta, nella sua originalità, alla integrazione delle separate esperienze di van Doesburg e di Torres Garcia che incrociano con vivacissima intelligenza propositiva fattori ‘concettuali’, con opportunità logico-matematiche e con una irrinunciata affermazione della sensibilità ‘materico-materiale’.
L’esperienza ‘astrattista’ di ‘Abstraction-Création’, intanto, malgrado gli sforzi di Vantongerloo, sfocia in una sorta di deriva manieristica (non dimentichiamo che anche l’esperienza di Bauhaus accusa, più o meno contemporaneamente, i colpi di una certa stanchezza propositiva); e tutto ciò, evidentemente, apre lo spazio per il lancio di nuove proposte, che proprio una certa ‘verginità’ di pensiero, quale poteva manifestarsi nelle menti di quanti avvertivano – provenienti da un paese decentrato e lontano come, ad esempio, l’Argentina – l’esigenza di suggerire una propria visione originale ed autonoma della visione del mondo.
All’interno dell’avventura culturale che viene promossa dalla fondazione della rivista “Arturo” (1944), maturano le condizioni per un incrocio di vivacità creative e di sensibilità propositive che non sono ‘soltanto’ di marca argentina, ma più ampiamente sudamericane, ed avviene così che quel concetto di ‘abstraction-création’ di matrice europea subisca una decisa rimodellazione in ‘abstraction-invencion’.
Che non si tratti di una semplice sostituzione di parole si capisce bene: l’astrazione non viene considerata un processo di determinazioni ‘creative’, ma ‘inventive’.
Tutto ciò comporta una responsabilità dell’artista assolutamente inedita e la carica stessa di ordine ‘concretista’ che pure aveva una sua indiscutibile validità, si arricchisce di una ineffabile fertilità di nuove opportunità di spunti propositivi.
È in tale contesto che maturano le condizioni per la formulazione di alcune cose di grande interesse: il ‘Manifesto Blanco’, ad esempio, con il quale Lucio Fontana introduce alla prospettiva dello ‘Spazialismo’, ma anche le ricerche di più netta propensione funzionalistica di Maldonado e non meno quelle, infine, più spiccatamente sensibili alla rottura della simmetria, come provvederà a sollecitare Carmelo Arden-Quin che si debba fare, procedendo a suggerire la pratica di una delibazione che noi definiamo ‘obliquitaria’, per effetto della quale la prospettiva astratto-geometrica avrebbe acquisito la possibilità di aprirsi a nuove ed inedite esperienze sensoriali.
Considereremo, in proposito, a parte il seguito personale che si sarebbe sviluppato sulla scia delle intuizioni ardenquiniane, anche quanto, in particolare, avrebbe saputo ben dimostrare spiccatamente un artista come Soto, ad esempio, innervando all’interno della strutturazione formale astrattiva il germe di una vivacità partecipativa capace di stabilire intriganti opportunità di coinvolgimento fruitivo.
L’ambiente in cui maturano queste particolari delibazioni creative è animato, peraltro, da molte altre personalità che contribuiscono a creare un contesto di esperienze plurime e dilatate. Ricordiamo, tra le altre, quelle Lidy Prati, Gyula Kosice, Rhod Rothfuss.